di Francesco Zanlungo
In un’epoca in cui si è chiamati a viaggiare con corpo e mente a velocità al limite della follia, si sente la necessità di fermarsi e respirare.
Come addetto ai lavori in ambito teatrale è necessario, se non indispensabile, confrontarsi quotidianamente con questo aspetto.
Ecco allora che, assistere ad una rappresentazione teatrale, vuol dire prendersi il proprio tempo!
Il messaggio che “Panchine Pensanti” ha voluto portare è stato proprio questo: prendersi un momento per riflettere sia su questioni educative specifiche dell’ambito sportivo, che su realtà inerenti a tutti gli ambiti della vita dei nostri ragazzi.
Per affrontare un tema estremamente delicato come la “crescita educativa dell’individuo” si è sentita la necessità di uscire dai tradizionali schemi narrativi, creando un nuovo format che inserisse lo speech formativo e motivazionale al contesto performativo-teatrale.
Franco Bertoli, campione olimpico della pallavolo nel 1984 nonché ideatore di questo progetto, ha dato come linea guida il voler realizzare uno spettacolo che non superasse i 60 min, seguito da un dibattito con esperti del settore riguardante l’ambito sportivo ed educativo.
Avere una durata non eccessiva dello spettacolo perciò, è stata una scelta dettata dal fatto che, più la performance fosse stata breve ed incisiva, più si sarebbe riusciti a tenere alta l’attenzione del pubblico.
Con un tempo che potremmo definire non troppo generoso, sarebbe stato complicato creare una storia articolata con uno sviluppo narrativo più lento. Il team creativo che ha visto Gianni Marras alla regia, Maurizio Boschini come drammaturgo e Francesco Zanlungo nel duplice ruolo di assistente alla regia e attore, ha deciso di percorrere questa via conscio del fatto che, sviluppare una drammaturgia in 45-60 minuti, non sarebbe stato affatto semplice, specie dovendo affrontare una tematica così delicata e complessa allo stesso tempo.
Ma la sfida non era solo tracciare una bozza della storia rendendola credibile, ma anche di inserire gli speech motivazionali di Franco.
Ecco allora che è nata l’idea di creare delle scene dinamiche caratterizzate da dialoghi con un ritmo sostenuto, situazioni rappresentative di momenti che un giovane può affrontare nella vita non solo sportiva ma anche quotidiana e familiare.
Ora la questione si poneva sull’estrapolare questi momenti significativi e rappresentarli in situazioni nelle quali il pubblico si potesse identificare.
Seguendo dunque il tema alla base dello spettacolo, ovvero il triangolo relazionale Atleta-Genitore-Allenatore, il drammaturgo e il regista hanno voluto costruire delle dinamiche relazionali che vedessero una progressiva messa in discussione dei ruoli dei vari personaggi. E’ stato un delicato lavoro nell’equilibrare le intenzioni comunicative degli attori: in particolar modo per quanto riguardava la figura di Franco. Difatti quello che è emerso durante le prove era la necessità di distinguere, in maniera intelligente, il duplice ruolo che aveva: da una parte di personaggio (l’Allenatore) e dall’altra di coach motivatore.
Come collante alle varie scene, vi erano quindi gli interventi di Franco, dei veri e propri monologhi nei quali lui rifletteva su ciò che si era visto, stimolando in maniera indiretta riflessioni nel pubblico.
Il risultato finale è stato quello di realizzare una pièce dalla durata di 45 minuti con tre personaggi (l’Atleta, il Genitore/mamma e l’Allenatore); la struttura è stata articolata in 4 scene riguardanti le interazioni dei vari personaggi intervallati dagli interventi di Franco.
Oltre al lavoro sul testo, vi è stata una ricerca sulle musiche: dovevano essere moderne e riconoscibili da un pubblico eterogeneo (età dai 15 ai 60 ca.).
Fondamentale inoltre l’inserimento, nella parte finale, di immagini e video come elementi di riscontro oggettivo dei temi trattati durante lo spettacolo.
Ora un mio commento personale lontano da tecnicismi. Come interprete ho avuto la fortuna di partecipare ad un progetto “unico”: una sorta di nuovo teatro contemporaneo nel quale la sperimentazione ha trovato un’effettiva collocazione nella realtà quotidiana. Spesso si vedono forme di teatro contemporaneo i cui contenuti, per quanto interessanti e presentati con un livello tecnico molto alto, non portano un messaggio di effettiva utilità. Con “Panchine Pensanti” si è voluto dare al pubblico un dono, ovvero di prendersi il proprio tempo, per fermarsi e riflettere su ciò che di più prezioso si possiede: la relazione umana.